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HANNO DETTO
In questa rubrica si possono reperire affermazioni importanti che si riferiscono agli argomenti trattati.


Scriveva Albert Einstein:

"Noi (uomini) siamo nella situazione di un bambino che entra in una vasta biblioteca riempita di libri scritti in molte lingue diverse. Il bambino sa che qualcuno deve aver scritto quei libri. Egli non conosce come. Il bambino sospetta che debba esserci un ordine misterioso nella sistemazione di quei libri, ma non conosce quale sia...".

Il cosmo e la natura sono regolati da un ordine misterioso, in parte comprensibile per l'intelligenza dell'uomo, in parte ad essa superiore


TRINITÀ
(Andrej Rublev, 1411 circa)

Ispiratore di questa icona (l'icona delle icone, come la definì il Concilio dei Cento Capitoli) è S. Sergio di Radonez.

Dice Florenski: 'Nella coscienza della Chiesa la Trinità è sempre stata sentita ed è sentita anche o ggi come il cuore della Russia; all'ostilità e all'odio regnanti veniva a contrapporsi l'amore reciproco, sgorgante nell'eterno silenzioso colloqui, nell'eterna unità delle sfere superne... Andrej Rublev incarnò una visione del mondo irraggiungibile, cristallina e indefettibilmente fedele. Ma per vedere quel mondo, per affermare nel suo spirito e nel suo pennello questo tiepido, vivificante soffio dello Spirito bisognava che il pittore avesse davanti a sè il celeste archetipo e attorno a sè un suo riflesso terreno, si trovasse in un ambiante spirituale, in un contesto pacifico. Per questo non il monaco Andrej Rublev, nipote spirituale di S. Sergio, ma lo stesso progenitore della terra russa, Sergio di Radonez, deve essere onorato come vero creatore dell'icona della Trinità.

La festa della Trinità in Russia si celebra insieme alla Pentecoste: lo spirito che anima gli Apostoli infatto insegna loro a vivere prendendo come modello l'unitàM della Trinità infonde in essi 'un cuor solo e un'anima sola'.

La rappresentazione della Trinità richiama al racconto biblico dell'apparizione dei tre divini pellegrini ad Abramo e Sara. Le tre figure sono in atteggiamento di riposo, sono molto simili e si differenziano solo per l'atteggiamento di ciascuno nei confronti degli altri due: un solo Dio in tre Persone che si completano l'un l'altra in un rapporto circolare, inesauribile, di comunione amorosa. Il punto centrale della comunione è la coppa dell'agnelo, sulla tavola, in cui si esprime il Mistero dell'Incarnazione e dell'Eucarestia.

Da noteare l'uso della prospettiva inversa, per cui il punto di fuga non è all'interno dell'icona, ma, al contrario, è il punto di vista di chi guarda: l'icona si allarga come 'una finestra aperta sull'infinito', quasi un diaframma tra l'umano e il divino.



TRINITÀ. Dal trattato «Contro le eresie» di sant'Ireneo, vescovo
(Lib. IV, 6, 3. 5. 6. 7; SC100, 442. 446. 448. 454) La manifestazione del Figlio è la conoscenza del Padre

Ireneo nato a Smirne in Asia Minore, nel 130 d.C.cresciuto in una famiglia già cristiana, alla scuola di Policarpo, vescovo di Smirne (tradizionalmente ritenuto discepolo dell'apostolo Giovanni), fu vescovo di Lione in Francia Nessuno può conoscere il Padre senza il Verbo di Dio, cioè senza la rivelazione del Figlio, né alcuno può conoscere il Figlio senza la benevolenza del Padre.Infatti il Padre manda, mentre il Figlio è mandato e viene Il Verbo conosce il Padre, per quanto invisibile e indefinibile per noi, viene da lui espresso. A sua volta, poi, solo il Padre conosce il suo Verbo.

   Questa mutua relazione fra le Persone divine ci è stata rivelata dal Signore.      Il Figlio con la sua manifestazione ci dà la conoscenza del Padre. Infatti la conoscenza del Padre viene dalla manifestazione del Figlio: tutto viene manifestato per mezzo del Verbo.

    Il Verbo per la sua stessa natura rivela Dio creatore, per mezzo del mondo il Signore creatore del mondo, rivela quel Padre che ha generato il Figlio. Certo tutti discutono allo stesso modo queste verità, ma non tutti vi credono allo stesso modo. Così il Verbo predicava se stesso e il Padre, per mezzo della Legge e dei Profeti, e tutto il popolo ha sentito allo stesso modo, ma non tutti hanno creduto allo stesso modo.

    Il Padre era manifestato per mezzo dello stesso Verbo reso visibile e palpabile, tutti videro il Padre nel Figlio: infatti il Padre è la realtà invisibile del Figlio, come il Figlio è la realtà visibile del Padre.

    Il Figlio, poi, mettendosi al servizio del Padre, porta a compimento ogni cosa dal principio alla fine, e senza di lui nessuno può conoscere Dio. Conoscere il Figlio è conoscere il Padre. La conoscenza del Figlio viene a noi dal rivelarsi del Padre attraverso il Figlio. Per questo il Signore diceva: «Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Mt 11, 27). 

    La nostra fede è questa: In tutto e per tutto non c'è che un solo Dio Padre, un solo Verbo, un solo Spirito e una sola salvezza per tutti quelli che credono nel Dio uno e trino.



CONSTRATO TRA ARTE E FEDE?

Gianfranco Ravasi in “Arte e fede come sorelle”. Luoghi dell’infinito gennaio 2013 p 13

Paul Klee era consapevole che l’opera dell’artista non è quella di rappresentare il visibile ma di introdurci nell’invisibile, tant’è vero che anche l’arido taglio della tela compiuto da Lucio Fontana simbolicamente era – secondo l’artista – uno spiraglio per intravedere l’Assoluto. Credere e creare sono due atti fondamentali che l’uomo adotta per raggiungere la trascendenza come affermava suggestivamente il poeta Paul Valéry, quando scriveva…che “il pittore non deve dipingere quello che vede ma quello che si vedrà”, A questo futuro, all’assoluto cercato nell’uomo, la fede dà il nome di Dio che talvolta è esplicitamente riconosciuto come propria meta, dallo stesso artista.

Bach, non aveva dubbi quando poneva la sigla SDG (Soli Deo gloria) e dichiarava: “Il finis e la causa finale della musica non dovrebbero mai essere altro che la gloria di Dio e la ricreazione della mente”.

Hermann Hesse nel suo saggio su Klein e Wagner dice: “arte significa: dentro ad ogni cosa mostrare Dio

In questa luce, arte e fede fanno germogliare nel loro grembo un messaggio, una verità alta ed efficace; non interpretano soltanto ma rivelano e “creano un mondo” secondo l’espressione del filosofo Martin Heidegger. La loro funzione è epifanica, irradiano quella luce che le ha percorse. Significative la parole di Kafka nei suoi “Preparativi di nozze in campagna” “L’arte vola attorno alla verità…e il suo talento consiste nel trovare un luogo in cui se ne possano potentemente intercettare i raggi luminosi”. La polemica contemporanea secondo la quale l’arte deve essere libera da ogni messaggio per non essere asservita a nessuna ideologia, merita spesso il giudizio sferzante di Borges che ironizzava: “Chi dice che l’arte non deve propagandare dottrine si riferisce di solito a dottrine contrarie alle sue”

Noi crediamo religiosamente e creiamo artisticamente per scoprire il senso supremo dell’essere e dell’esistere e non semplicemente per arredare e ornare la nostra anima le nostre case o città….
Benedetto Croce nel suo saggio su Schiller era convinto che “nella del mondo” vera poesia le espressioni che suonano più semplici ci riempiono di sorpresa e di gioia perché rivelano noi a noi stessi”. E’ questo un altro modo per celebrare la funzione epifanica dell’arte nello svelare il mistero che è in noi stessi….parla di sorpresa.

Sappiamo che la fede si nutre di stupore di contemplazione di illuminazione. E Chesterton aggiungeva:”La dignità dell’artista sta nel suo dovere di tener vivo il senso della meraviglia” .
Giovanni Paolo II in “Lettera agli artisti” La vostra arte contribuisca all’affermarsi di una bellezza autentica che, quasi riverbero dello Spirito di Dio, trasfiguri la materia, aprendo gli animi al senso dell’eterno”



LA DIVINITÀ DI CRISTO

Dalla lettera ai Colossesi 1,1-6

Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo.
Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente. Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestà nell’alto dei cieli, divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato.
Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto:
«Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato»?

e ancora:
«Io sarò per lui padre
ed egli sarà per me figlio»?
Quando invece introduce il primogenito nel mondo, dice:
«Lo adorino tutti gli angeli di Dio».



TESTIMONIANZA DEL MARTIRE
Dalla «Lettera ai Romani» di sant'Ignazio di Antiochia, vescovo e martire (Capp. 3, 1 - 5, 3; Funk 1, 215-219)
Non voglio solo chiamarmi cristiano, ma esserlo realmente

   Non avete mai invidiato nessuno, anzi avete insegnato agli altri. Voglio che ciò che insegnate e raccomandate conservi tutto il suo vigore.     

Chiedete per me soltanto la forza esterna ed interna perché io sia deciso non solo nel parlare, ma anche nel volere, perché non solo sia detto cristiano, ma sia anche trovato tale. Se tale sarò trovato, potrò essere chiamato cristiano e quando il mondo non mi vedrà più, allora sarò un vero fedele. Niente di quel che si vede ha valore. Il nostro Dio Gesù Cristo, ora che è tornato al Padre, si manifesta di più. Dinanzi alle persecuzioni del mondo il cristianesimo non si sostiene con parole dell\'umana sapienza, ma con la forza di Dio.     

Scrivo a tutte le chiese, e a tutti annunzio che morrò volentieri per Dio, se voi non me lo impedirete. Vi scongiuro, non dimostratemi una benevolenza che sarebbe inopportuna. Lasciate che io sia pasto delle belve, per mezzo delle quali mi è dato di raggiungere Dio. Sono frumento di Dio e sarò macinato dai denti delle fiere per divenire pane puro di Cristo. Sollecitate piuttosto le fiere perché diventino mio sepolcro e non lascino nulla del mio corpo, e nel mio ultimo sonno io non sia di incomodo a nessuno. Quando il mondo non vedrà più il mio corpo, allora sarò veramente discepolo di Gesù Cristo. Supplicate Cristo per me, perché per opera di queste belve io divenga ostia per Dio.     Io non vi do ordini, come Pietro e Paolo. Essi erano apostoli, io sono un condannato; essi erano liberi, io finora non sono che uno schiavo. Ma se soffrirò il martirio, diventerò un liberto di Gesù Cristo e in lui risorgerò libero. Ora, in catene, imparo a rinunziare ad ogni desiderio.     

Dalla Siria fino a Roma, per terra e per mare, giorno e notte, lotto con le belve, legato a dieci leopardi, cioè al manipolo dei soldati di scorta. Più faccio loro del bene, e più mi maltrattano. Però con i loro oltraggi faccio profitto sempre più nella scuola di Cristo, ma non per questo sono giustificato. Oh, quando avrò la gioia di trovarmi di fronte alle belve preparate per me! Mi auguro che siano pronte a gettarsi sul mio corpo. Io le solleciterò perché mi divorino in un momento e non facciano come fecero con alcuni, che ebbero paura di toccare. Se poi si ostinassero nel loro rifiuto, le costringerò con la forza.    

Perdonatemi, io so quello che va bene per me. Ora incomincio ad essere un vero discepolo. Nessuna delle cose visibili o invisibili mi trattenga dal raggiungere Gesù Cristo. Fuoco e croce, branchi di bestie feroci, lacerazioni, squartamenti, slogature delle ossa, taglio delle membra, stritolamento di tutto il corpo, i più crudeli tormenti del diavolo ben vengano tutti su di me, purché io possa raggiungere Gesù Cristo.