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La cappella, in muratura di pietra e copertura in lose, conserva nella zona dell'altare la volta a botte di una cappelletta pi

LA CAPPELLA DI SAN SEBASTIANO E FABIANO a MARMORA (Valle Maira, CN)

Nel suo libro "L'infanzia di Gesù" il papa con l'occhio alla storia e agli approfondimenti dell'esegesi moderna, c'insegna, quasi prendendoci per mano, a comprendere con la ragione e col cuore, il "mistero" dell'Incarnazione. "Ho cercato di interpretare, in dialogo con esegeti del passato e del presente, ciò che raccontano gli evangelisti" (pag. 5). Il libro prende in esame e chiarifica quegli aspetti della Natività messi in discussione dalle odierne concezioni, che assegnano al mito e alla leggenda i fatti narrati da Matteo e Luca, mescolando nuovi approfondimenti e concezioni apocrife. La lettura rivela una profonda poesia, tra razionalità e fede, che coinvolge: dalla collocazione di Gesù nella sua identità divina, all'Annunciazione e Natività, sino alla proiezione nella Sua morte, il libro compie una profonda indagine nell'anima di Maria, che si avvolge di silenzio. Il silenzio della Natività richiama immediatamente la dimensione contemplativa della stupenda Natività di Stroppo, (www.arteefede.com) e alla bellezza d'altre opere presenti nelle nostre valli come Sampeyre, Brossasco, Elva, S.Ponzio e altre ancora. Ci vogliamo fermare qui su un'opera molto significativa, in alta Val Maira: le scene della natività della cappella di S.Sebastiano e Fabiano di Marmora.

La cappella , restaurata nel 1995, era originariamente formata, secondo un modulo abbastanza comune, da un'unica aula con abside e volta a botte con campaniletto a vela. Successivamente vennero aggiunti l'attuale navata e il locale sacrestia. La cappella, firmata e datata 1450, fu completamente affrescata da Giovanni Baleison di Demonte. Nella facciata restano tracce ben leggibili di affreschi con S.Bernardo che tiene alla catena il demonio e S.Cristoforo, in alto a destra, raffigurazioni di botteghe artigianali con riferimento alla probabile committenza. Al centro la rappresentazione di un'iconografia poco nota: il Cristo della domenica ferito dagli attrezzi di lavoro di coloro che non santificavano la festa. (una nota molto attuale oggi mentre si raccolgono firme per la chiusura dei supermercati di domenica!). Nella volta a botte dell'antica cappelletta, sono conservati gli affreschi con l'Annunciazione, il Cristo Pantocratore, la Madonna in trono tra San Sebastiano e (forse) San Fabiano; ai lati gli Evangelisti. Nella volta oltre alle scene della vita di San Sebastiano appaiono i fatti dell'infanzia di Cristo rappresentate su due registri. Il racconto inizia nel registro superiore con un'inconsueta Natività. Una gustosa, ma delicata scena di sapore popolare, dove Maria, avvolta nello stupore, è tutta raccolta in adorazione del Figlio, mentre un'ancella, (o, secondo gli apocrifi, la levatrice Zachele) immerge il Bambino neonato nel catino per il bagno. Accanto, la capanna di legno, la greppia di vimini che accoglierà il Bambino e i due animali che, nell' interpretazione di Isaia 1,3, lo riconoscono e lo adorano. All'ingresso della capanna Giuseppe, dall'aspetto di rustico popolano, prepara sul fuoco la minestra per la sua sposa; un'iconografia che proviene dalla tradizione provenzale e simboleggia la funzione protettiva di Giuseppe, evidenziando anche la sua estraneità alla nascita di quel Bambino, accanto al quale non compare neppure all'adorazione dei Magi. Sullo sfondo si distende la pianura e sui monti un gregge di pecore, mentre in alto la scena è coronata dall'angelo col cartiglio: "Vi annuncio una grande gioia oggi è nato per voi il Salvatore" (Lc.2,11) Suddivisa dalla struttura architettonica delle mura, segue la scena in cui i Magi entrano in Gerusalemme per cercare, presso Erode, il neonato "Re dei giudei". Essi hanno visto il misterioso segno del cielo - la stella profetizzata da Balaam (Nm.24,17) - e sono venuti per adorarlo. Il fatto dei magi ha risonanze e spiegazioni profonde. "Si tratta di avvenimenti storici - dice il Papa - il cui significato è stato teologicamente interpretato dalla comunità giudeo-cristiana e da Matteo (p137). Nella raffigurazione i magi vestono abiti e calzature che riprendono la moda borgognone dell'epoca; il loro atteggiamento iconografico è lo stesso che appare nei sarcofagi del sec.IV: il primo indica la stella, il secondo si volge verso il terzo. Portano i doni simbolici, i loro volti uguali rivelano come siamo ancora lontani dalla scoperta del "nuovo mondo" che inserirà nel Presepe il magio di colore. Nell'arte catacombale, i magi, che non erano re, appaiono vestiti all'orientale con cappello frigio; nei secoli successivi, invece, in un discutibile uso, i magi, assumendo l'immagine dei signori locali e saranno inseriti nell'adorazione del Signore. Chi erano i magi? Cos'era la stella? Nel libro si compie un'ampia trattazione di questo argomento. I Magi "venuti dall'Oriente" "rappresentano la dinamica dell'andare al di là di sé, una dinamica della ricerca della verità, del vero Dio", l'atteso dominatore del mondo di cui parlano Tacito e Svetonio" (p 108-113). Immersi nella ricerca del compimento delle scritture che anch'essi conoscevano, i magi "rappresentano l'incamminarsi dell'umanità verso Cristo" una processione che percorre l'intera storia.

Nel registro sottostante si colloca la Fuga in Egitto dove appare il tema del "miracolo del grano". Secondo il racconto apocrifo (cioè non canonico), la famigliola fugge passando per un campo dove un contadino semina il grano. Miracolosamente il grano cresce subito ingannando gli inseguitori. Sono leggende fiorite in Francia nel sec XII, così quella che fa capo al santuario di Rocamadour; in Piemonte si trova nella Passione di Revello impersonato dalla figura di Gileto Bovaro.

E appare con l'ordine di Erode, la tragica scena della "strage degli innocenti". Un evento discusso e non reperito in fonti non bibliche, ma - dice il papa - R. Pesch citando l'ebreo Schalit, afferma che la notizia della nascita di un re messianico poteva benissimo suggerire al despota Erode, che per un sospetto aveva assassinato i figli, l'uccisione di tutti i bambini del villaggio di Betlemme (p 126)

Una tragedia di piccole vittime, che la follia di certa contemporanea cultura delle armi, riporta oggi di attualità.



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