S.STEFANO nei dipinti
dei Biazaci
S.Stefano, la festa che succede al Natale, celebra il dies natalis (la nascita al
Cielo) del primo martire cristiano. Il
fatto, che si colloca circa all' anno 34, dà inizio al tempo dei testimoni dei martiri
e dell'evangelizzazione: scoppiata la persecuzione a Gerusalemme gli Apostoli si disperdono, dando avvio alla missione che si
estenderà sino agli estremi confini della terra.(At.1,8)

BUSCA - S. Stefano
Abside - Totale
A S.
Stefano, uno dei primi sette diaconi,
sono intitolate molte chiese anche nei nostri territori; il santo viene rappresentato nella sua tipica iconografia: vestito della dalmatica,
la palma in mano e la pietra del martirio sul capo. Nell'abside della cappella
di S.Stefano a Busca, i Fratelli Biazaci pittori predicatori itineranti, verso il 1450
dipingono la vicenda del martire che si ispira ai cap.
6,7 degli Atti degli Apostoli. Il ciclo pittorico - restaurato nel 1998 - si compie in quattro
riquadri ed è commentato, nei cartigli, con i dialoghi, tratti dal capitolo
De Sancto Stefano della Legenda aurea di Jacopo da Varagine, Stefano appare vestito della dalmatica del
diacono.
La prima scena presenta una donna col suo piccolo che, alla
benedizione del santo, riprende vita; al di sopra un cartiglio dice in latino:
Stefano, pieno di grazia e di fortezza faceva segni e miracoli grandi in mezzo
al popolo. Accanto alla donna, tra il
gruppo degli astanti, appare il tocco popolaresco dell'uomo con la ghironda che
osserva la scena con ingenuo stupore.
Nella
seconda scena Stefano, dotato di grande capacità oratoria dimostra, ai Giudei che lo
interpellano, la salvezza operata da Cristo. Gli interlocutori, non sapendo
resistere alla sua forza, convocano falsi testimoni per accusarlo.
In Stefano si compie e si rinnova la vicenda di Gesù che, accusato di bestemmia e condannato alla lapidazione, muore perdonando i suoi uccisori.

La terza
scena rappresenta drammaticamente il martirio di Stefano ed esalta la forza
espressiva del grido di perdono del
martire colpito dalle pietre(At 7,60)che Jacopo da Varagine
traduce nello stesso grido di Gesù che i Biazaci, per maggiore comprensione e secondo l'uso della
predicazione, scrivono in lingua volgare: Padre in le tue
mane recomando lo spirito mio. Padre perdona a
quili che non sano che ce faceno.
Il volto
insanguinato di Stefano morente è pieno di luce.
Secondo la
tradizione, la condanna alla
lapidazione, venne eseguita presso la porta di Damasco
a Gerusalemme e le spoglie sepolte nel podere di Gamaliele;
ritrovate nel sec.IV,
vennero trasportate a Roma nel 560 e collocate nel
sarcofago del martire Lorenzo nella chiesa di S.Lorenzo
al Verano. Le reliquie di Stefano si
sparsero per tutto il mondo. Nel dipinto
il nome di Gamaliele, insieme a
quello di Nicodemo, sovrasta il sepolcro dell'inumazione (quarta scena).
E'
presumibile che in origine la cappella fosse dipinta
anche sulle pareti, forse andate perdute nel sec.XVI con l'abbattimento dell'adiacente Castello
Superiore (il Castellaccio
, sede dei Marchesi del Vasto di Busca dopo il
1138). La cappella che risale con buona probabilità al tempo della primitiva evangelizzazione del territorio (tra il sec. V e VIII), sorge sul luogo di un castrum
romano intorno al quale si formò ben presto un piccolo borgo.
Il sito e alcuni elementi architettonici, in
particolare la struttura absidale, il sacello
preesistente inglobato nella cappella, (scoperto nel corso dei restauri) sino
alla stessa intitolazione al primo martire, stanno a testimoniare
l'antichità e l'importanza della
cappella citata nel 1216 come parrocchia e sede del Vescovo nelle visite pastorali.

I temi del Mur
de chevet (arco trionfale) si configurano come
elemento di collegamento e di stacco tra l'umano e il divino: l'Annunciazione,
i cui protagonisti sono posti separatamente sull'imposta dell'arco secondo
l'uso liturgico dei grandi maestri; accanto all'Angelo, il cartiglio con la
parola dell'annuncio. La figura di Maria non è
accompagnata dal cartiglio: la risposta della Vergine emerge dal silenzio della bellissima figura tutta biazacea,
le mani incrociate nell'atteggiamento dell'accoglienza mentre giunge la piccola
colomba dello Spirito Santo. Il silenzio
di Maria realizza il suo assenso e l'opera si pone
come una pagina di altissimo valore artistico. Al centro dell'arco, appare
Cristo in Pietà tra Maria e Giovanni piangenti. La
roccia, nella sua materiale
configurazione, sembra voler trasferire l'attenzione dell'osservatore
dall'Annuncio all'epilogo della vicenda umana di Cristo in cui si compie la
salvezza:Cristo nato e morto per amore degli uomini si
offre ora alla loro compassione.
Le scene sono dipinte dai Biazaci con i mezzi stilistici che li distinguono; la narrazione è condotta con segno limpido e preciso e, seppure legata al Gotico Internazionale, non ne ha tuttavia
le asprezze, incline alla dolcezza mediterranea, si distende con temperata
compostezza rifuggendo ogni espressionismo. L'impasto cromatico è morbido e
delicato; i volti, dove maggiormente si manifestano i sentimenti, sono resi con precisione e sono
pervasi di profonda spiritualità. Anche nei momenti drammatici, mancano nei Biazaci gli accenti violenti di altri
artisti coevi: nel mur de chevet
il dolore della Madre accanto all'avello del Cristo morto, è profondo e
contenuto, quello di Giovanni è tenero e
accorato, nel racconto di S.Stefano il volto del
santo morente è dolce e appassionato.

Il ciclo
d'affreschi del catino absidale, rivela una riflessione profonda nell'artista
che, con tutta probabilità si è riferito a un dipinto
antecedente. Appare infatti il programma pittorico
risalente al primo millennio. Il Cristo
risorto, glorioso Signore del cielo e della terra, è rappresentato nella
mandorla iridata delle visioni di Ezechiele e dell'
Apocalisse. L'iride è la scomposizione della luce bianca e il bianco è il colore della dimensione
divina. La divinità resa visibile è
circondata della luce visibile dell'arcobaleno.
Accanto al
Cristo in mandorla, appare il Tetramorfo
cioè le figure simboliche dei quatto Evangelisti: il vitello (Luca), l'angelo (Matteo),
l'aquila (Giovanni), il leone (Marco) accompagnati dal cartiglio che visualizza l'inizio del Libro Sacro posto
sotto di loro. Un inconsueto cielo sfumato verso l'orizzonte commenta
prospetticamente la composizione creando
uno spazio che diventa novità nell'opera tardogotica.
La composizione del Cristo in gloria sovrasta, la figura di Maria assisa in trono nell'atteggiamento delle Theotokos
della prima ora: presenta e adora il
Figlio Bambino raffigurato con i simboli della divinità: il Libro tra le mani e il nimbo crociato sul
capo.
E' il
riquadro centrale nella storia di S.Stefano. Il mistero della santità e della testimonianza si compie attraverso la Natività e la Risurrezione del
Figlio di Dio.
CORRIERE DI
SALUZZO 22.12.2000